LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO
    Ha  emesso la seguente decisione sul ricorso prodotto dall'ufficio
 e inc.le D'Auria  Carmine,  Anna,  Marco,  Domenico,  Bruno,  Fausto,
 Aniello,  Giuliano,  eredi  di  Farricelli  Teresa, avverso decisione
 primo grado;
    Letti gli atti;
    Sentito il rapp.te dell'ufficio e il dott. Catello Todisco  per  i
 contribuenti;
    Udito il relatore dott. Troisi;
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  processo  verbale  di constatazione, redatto dalla guardia di
 finanza, furono riscontrate a carico della  ditta  Farricelli  Teresa
 numerose  violazioni  al d.P.R. n. 633/1972 e s.m.i. Successivamente,
 l'ufficio I.V.A. di Napoli notificava tre provvedimenti di  rettifica
 delle    dichirazioni    annuali   relative   agli   anni   d'imposta
 1977-1978-1979.  Non  risultando  detti  provvedimenti  opposti   nei
 termini  e divenuti quindi definitivi, l'ufficio in data 24 settembre
 1982 e 30 maggio 1983 provvedeva a notificare agli eredi della sig.ra
 Farricelli Teresa, deceduta il 15 novembre 1982, tre  ingiunzioni  di
 pagamento per le annualita' predette.
    A  parere  dell'ufficio  infatti  la  dichiarazione integrativa di
 condono presentata dai contribuenti risultava nulla perche'  tardiva.
 Il  termine  di  novembre  1982  previsto dalla legge n. 516/1982 per
 avvalersi della facolta' di definire le  pendenze,  con  due  diversi
 provvedimenti  fu prorogato fino al 15 marzo 1983, termine ultimo per
 fruire del provvedimento di condono, laddove la  dichiarazione  degli
 eredi Farricelli era presentata il 30 maggio 1983.
    I  contributi  in  primo grado hanno eccepito che la normativa sul
 condono non ha previsto alcuna proroga dei termini per gli eredi  dei
 dichiaranti  I.V.A. deceduti nel periodo di decorrenza dei termini di
 presentazione dell'istanza  integrativa  di  condono.  Pertanto  essi
 hanno  chiesto la sospensione del giudizio, da subordinarsi all'esito
 della questione di illegittimita' costituzionale del d.-l. 10  luglio
 1982,  n.  429,  conv. con legge n. 516 del 7 agosto 1982, e relativo
 d.m. di attuazione del 28 settembre  1982  per  manifesta  violazione
 dell'art.  3  della Costituzione, nel punto in cui tale normativa non
 prevede la proroga dei termini per "gli eredi I.V.A.",  dissimilmente
 da quanto invece dispone per "gli eredi di imposte dirette".
    I  giudici  di  prima  cura  si  sono  dichiarati  sulla manifesta
 infondatezza  della  suddetta   eccezione   di   incostituzionalita',
 osservando  che essa non puo' essere sollevata trattandosi nella spe-
 cie di mero atto amministrativo e non di atto avente forza di legge.
    La  respinta  questione  viene  in  secondo  grado riformulata dai
 contribuenti  negli  stessi  termini  e  sul  punto  l'ufficio  nulla
 controdeduce.
                          RITENUTO IN DIRITTO
    Il  d.-l.  10  luglio  1982, n. 429, conv. con mod. con la legge 7
 agosto  1982,  n.  516,  col  titolo  "Norme   per   la   repressione
 dell'evasione  in materia d'imposte sui redditi e sul valore aggiunto
 e per agevolare la definizione delle pendenze in materia  tributaria"
 agli  artt.  14 e segg. detta disposizioni in tema di condono ai fini
 I.V.A., ma non prevede slittamenti dei termini a favore  degli  eredi
 dei contribuenti nel frattempo deceduti.
    E' pero' l'art. 25, terzo comma, cosi' come modificato dall'art. 1
 della   legge   di   conversione,  stabilisce  ai  fini  I.V.A.:  "le
 dichiarazioni integrative, a pena di nullita', devono essere  redatte
 in  conformita'  ai  modelli approvati con decreto del Ministro delle
 finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica entro
 e non oltre il  30  settembre  1982.  Si  applicano  le  disposizioni
 dell'art.  37,  primo  e quarto comma, e dell'art. 40, secondo comma,
 del d.P.R. 26 ottobre 1972,  n.  633.  Con  lo  stesso  decreto  sono
 stabilite   le  modalita'  di  attuazione  e  le  istruzioni  per  la
 compilazione dei modelli".
    Il relativo decreto ministeriale del 28 settembre 1982, intitolato
 "Approvazione dei modelli concernenti  la  dichiarazione  integrativa
 per  la  definizione per le pendenze tributarie in materia di imposte
 sui redditi e delle istruzioni e modalita' di attuazione delle  norme
 del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429, conv. con mod. nella legge 7 agosto
 1982,  n.  516"  nella  premessa "considerato che occorre approvare i
 modelli da utilizzare per le dichiarazioni integrative ai fini  della
 dichiarazione  agevolata  delle  pendenze  in  materia  d'imposte sui
 redditi, nonche' stabilire le modalita' per l'attuazione delle  norme
 relative   alle   predette  dichiarazioni  e  le  istruzioni  per  la
 compilazione di detti modelli", all'art. 7 dispone  una  proroga  dei
 termini.  Detta  proroga  dei termini delle dichiarazioni integrative
 consente agli eredi delle persone fisiche decedute nel periodo che va
 dal 31 luglio al 30 dicembre 1981 di presentare entro  il  30  maggio
 1983  la  dichiarazione  integrativa con riguardo alle imposte dovute
 dal dante causa.
    Tale proroga, dettata in applicazione alle disposizioni  dell'art.
 65  del d.P.R. n. 600/1973 (cosi' come testualmente si esprime l'art.
 7  del  citato  d.m.),  quindi  concerne  soltanto  le  dichiarazioni
 integrative in materia di imposte dirette, mentre nulla ha disposto a
 proposito dell'I.V.A.
    Nella  fattispecie  in esame, i contribuenti a seguito del decesso
 della di loro madre avvenuta il 15 novembre  1982,  avrebbero  dovuto
 presentare la dichiarazione integrativa entro il 30 novembre 1982 per
 fruire  del  condono  (in  realta'  il  termine  di cui alla legge n.
 516/1982 fu poi con distinti provvedimenti prorogato fino al 15 marzo
 1983).
    Pare  a  questa  commissione  che  il  d.m.  28   settembre   1982
 nell'escludere  gli  eredi I.V.A. da ogni proroga possibile, anche di
 differente    estensione,    abbia    creato    una    ingiustificata
 discriminazione tra due categorie di eredi, a vantaggio di quelli che
 potevano  presentare  entro il termine prorogato la dichiarazione con
 riguardo  alle  imposte dirette dovute dal dante causa e a svantaggio
 di quegli eredi, che per avventura potevano esser le  stesse  persone
 come  nel  caso di specie, i quali intendevano usufruire dei benefici
 del condono ai fini I.V.A., ma in un lasso temporale piu' ridotto. La
 differenza strutturale tra le due imposte, che  si  riflette  in  una
 diversita'  di normativa, avrebbe tutt'al piu' potuto giustificare la
 previsione di  differenti  termini  di  proroga,  ma  non  la  totale
 esclusione degli eredi I.V.A da ogni proroga ipotizzabile.
    A  questo  punto,  la  commissione ben si avvede che, sulla scorta
 delle    conclusioni    raggiunte,    avrebbe    potuto,    accertata
 l'illegittimita' del cit. d.m., disapplicarlo.
    E  cio'  secondo  il  disposto  dell'art.  16  del  d.P.R. n. 636,
 uniformandosi    anche    all'indirizzo    espresso    dalla    Corte
 costituzionale.
    Nondimeno la commissione e' stata indotta a seguire l'altra strada
 del  sindacato  accentrato  di costituzionalita' perche' meglio siano
 soddisfatte le esigenze  di  certezza  del  diritto,  di  uniformita'
 dell'interpretazione  delle  norme  costituzionali  e  di garanzia di
 efficace tutela giurisdizionale per il contribuente. Attuando infatti
 un sindacato diffuso la decisione  di  disapplicazione  non  avrebbe,
 come sembra, valore di giudicato e non s'imporrebbe erga omnes.
    D'altra  parte  sottrarre  al sindacato accentrato la questione di
 cui oggetto, significherebbe vanificare il principio  di  riserva  di
 legge,  che  in  tanto si valorizza in quanto gli elementi essenziali
 del tributo e dei relativi  procedimenti,  dovendo  trovare  la  loro
 regolazione  in  atti  aventi  valore ed efficacia legislativa, siano
 sottoponibili al diretto controllo della Corte costituzionale.
    Quanto affermato esime la commissione dall'indagare  sulla  natura
 dell'atto    compiuto    nell'esercizio    del    potere   attribuito
 all'amministrazione.Sono noti i  tormenti  in  cui  e'  in  corso  la
 dottrina  e  la giurisprudenza quando si e' trattato di qualificare i
 decreti ministeriali e di quali funzioni essi fossero espressione, se
 di quella normativa ovvero meramente amministrativa.
    Comunque sia, tanto a voler ritenere che l'atto in  questione  sia
 un  regolamento, quanto sia un provvedimento generale a contenuto non
 normativo, la legge n. 516/1982 negli articoli richiamati si viene  a
 porre  in  contrasto  con  l'art.  23  della  Costituzione. La Corte,
 secondo consolidata giurisprudenza  ha  sempre  ritenuto  ammissibile
 l'attribuzione    di    competenza   regolamentare   o   anche   solo
 amministrativa in materia tributaria, beninteso sul  presupposto  che
 vi  fosse  una  disposizione  di  legge  attributiva  della  relativa
 potesta', ed entro il limite che il legislatore ponga  norme  atte  a
 vincolare    sufficientemente    la    discrezionalita'   dell'organo
 amministrativo di modo che questa non degeneri in arbitrio.
    Ecco perche' non interessa qui l'indagine intorno alla natura  del
 decreto  (regolamentare  o  amministrativo),  quanto piuttosto quella
 concernente l'adeguatezza ed i limiti dell'intervento legislativo che
 ha consentito l'attivita' dell'organo amministrativo e l'adozione del
 relativo decreto ministeriale.
    Ora con gli artt. 14, terzo e quarto comma,  e  25,  terzo  comma,
 della legge n. 516/1982 la riserva di legge non puo' dirsi rispettata
 dal  momento che non sono stati previamente stabiliti da alcuna norma
 della legge stessa criteri e principi idonei a  ritenere  adeguato  e
 razionale    l'intervento   dell'organo   amministrativo.   Anzi   le
 disposizioni  richiamate, nel rimettere genericamente alla competenza
 del Ministero modalita' e criteri di attuazione  delle  dichiarazioni
 integrative,  non  hanno  delimitato sufficientemente l'esercizio dei
 poteri  dell'esecutivo,  facendolo  degenerare  nell'arbitrio  di  un
 comportamento  irragionevole  che ha discriminato senza fondamento in
 tema di proroga di termini tra categorie omogenee di contribuenti.
    Al ragionamento fin qui svolto potrebbe  obiettarsi  che  non  era
 necessaria  la previa attribuzione al Ministro del potere di proroga,
 rientrando  la  materia  gia'  nell'ambito  della  propria  specifica
 compentenza  (art.  65,  primo e terzo comma, del d.P.R. 29 settembre
 1973, n. 600). In altre parole, l'organo amministrativo  non  avrebbe
 fondato     su     speciale     disposizione     di     legge,    che
 l'autorizzazione,l'esercizio delle facolta' di proroga in  questione,
 essendosi piuttosto a tal fine autolimitato nell'esercizio del potere
 di  accertamento gia' spettantegli, dettando da se' delle norme ce lo
 vincolano nell'esercizio della sua facolta'. Ci troveremmo di  fronte
 nella fattispecie ad un provvedimento generale che in quanto tale non
 ha bisogno di una previa attribuzione legislativa.
    Questa  commissione,  ancora una volta, non entra nel merito della
 qualificazione attribuibile al d.m. 28 settembre 1982, ma osserva che
 l'art. 14, terzo comma, del cit.  d.-l.  n.  429/1982,  autorizza  (o
 delega) il Ministero delle finanze ad emanare un decreto attuativo in
 tema  di imposte dirette, mentre l'art. 25, terzo comma, dello stesso
 d.-l.  n.  429  dettra  analoghe  disposizioni  in  tema  di  imposte
 indirette.  Per  cui  una  previa norma di legge su cui e' fondato il
 decreto  ministeriale  indubbiamente  c'e'  e  non  potrebbe   essere
 altrimenti  per  l'operativita'  in  materia  della riserva (sia pure
 relativa) di legge ex art. 23 della Costituzione.
    Potrebbe darsi che l'intenzione del legislatore  fosse  quella  di
 riconoscere  che  la  materia  e'  gia' di quelle che rientrano nella
 competenza di carattere amministrativo  dell'esecutivo,  per  cui  la
 delega  legislativa sarebbe meramente dichiarativa ossia varrebbe si'
 come  attribuzione,  ma  al  contempo  come  riconoscimento  di  mera
 competenza  amministrativa.  Ma  pure  in  tal  caso  sarebbero stati
 violati gli artt.  3  e  23  della  Costituzione  dalle  disposizioni
 richiamate,   perche'   -   anche   se  avessero  voluto  autorizzare
 l'emanazione di un provvedimento generale - avrebbero dovuto comunque
 stabilire criteri e principi idonei a  limitare  la  discrezionalita'
 del  Ministro,  cosicche'  questa  non degenerasse (cosi' come poi in
 effetti e' avvenuto) in arbitraria discriminazione tra  categorie  di
 eredi-contribuenti.